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TESS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 27 marzo 1980
 
di Roman Polanski, con Nastassia Kinski, Peter Firth (Francia - Gran Bretagna, 1979)
 

Se già non fossimo prevenuti dalla pubblicità il sentimento dominante il visionamento di TESS sarebbe quello della sorpresa. Polansky, il migliore (PER FAVORE NON MORDERMI SUL COLLO, CUL DE SAC, REPULSION), come il peggiore, è infatti il cineasta del malessere psicologico: tradotto in immagini sul filo di quell'arte della deformazione surrealistica che le sue origini culturali, e pittoriche, gli hanno sempre ricordato. Com'è quindi che questo regista del grottesco, del simbolo corrosivo e barocco si mette ad illustrare un romanzo della fine del settecento inglese, una storia melodrammatica che il genio di Thomas Hardy ha però trasformato in uno dei ritratti femminili più belli di tutta la letteratura?

Qualcuno dei detrattori del regista polacco (non sono pochi) direbbe probabilmente che si tratta di semplice calcolo. Più semplicemente, optiamo per quelle che sono le spiegazioni del regista stesso: "TESS non è un film romanzesco, ma romantico. Mi ha affascinato l'universo di quegli autori che raccontavano certe cose, i sentimenti più intimi della vita umana, i più importanti, quelli dei quali abbiamo avuto vergogna per molto tempo, nel timore di apparire puerili. Allora, bisognava assolutamente essere sofisticati, costruirsi una maschera. Oggi, non provo nessuna vergogna nel confessare il mio desiderio di descrivere gli amori di una ragazza, di una semplice ragazza di campagna, e delle sue tribolazioni in una società rigida e piuttosto crudele".

TESS è quindi il risultato di questo bagno di semplicità del regista di ROSEMARY'S BABY. i nostri sentimenti sono due: il primo è di ammirazione per il mestiere di un cineasta che conosce indubbiamente l'arte di trasformare delle immagini in magia evocatrice. Le tre ore di TESS ci mostrano uno splendido esempio di ricostruzione storica: l'ambiente del Dorset (che Polansky ha ricreato nel Nord della Francia, meno sciupato urbanisticamente della campagna inglese in questione) si ricompone sontuosamente, ma anche senza compiacimenti formali davanti ai nostri occhi. Sia che ci mostri una cavalcata nei campi o la colazione del mattino di una famiglia di contadini, egli possiede l'intuizione rara di captare la luce, il colore, il gesto esatto che significano una scena. E poi, soprattutto, Polansky trova Nastassia Kinski, per il ruolo impossibile di Tess: ed il loro incontro, questo modo di accompagnare la ragazzina scontrosa, delicata e cosciente lungo il suo cammino di disgrazie, è sicuramente la cosa più riuscita del film. Coprendo ogni centimetro quadrato della pelle bianca della sua attrice, scrutandone ogni trasalimento degli occhi ed ogni socchiudersi delle labbra, Polansky ha composto il più bel ritratto femminile della sua carriera, a tratti fremente e sensuale, a volte represso fino alla rassegnazione, ma sempre positivo, cosciente e lucido.

Perché, allora, dei sentimenti di delusione? Polanski, per fare questo film, si è vestito di panni francescani, si è, forse involontariamente autocensurato. Vietato qualsiasi di quegli eccessi, psicologici e formali che lo aveva caratterizzato. Ma TESS, più che di una ritrovata semplicità da spesso l'impressione di qualcosa di soffocato, autopunito, sacrificato. Anche senza voler ricercare nel film le prerogative dell'opera letteraria è difficile, confrontandoci alla tranquillità quasi rassegnata del film, non ricordare le componenti del messaggio di Hardy: il senso tragico del destino, della fatalità che assume le sembianze del sopruso sociale. La presenza della natura, spesso percepita nella sua eternità con maggiore emozione che non il destino umano medesimo. E la percezione, quasi fisica, del trascorrere del tempo. Polansky ha attenuato le proprie emozioni ("gommé" direbbero più golosamente i francesi) per le sue ragioni, che abbiamo visto sopra. Ma cosi facendo ha purtroppo finito col cancellare quasi del tutto le pulsazioni della materia che si ritrovava fra le mani. La frase che il curato dice al padre di Tess (rendendolo edotto del fatto di appartenere ad una nobile famiglia decaduta) è esattamente riportata nel film. Ma il senso della fatalità ineluttabile, della dipendenza da questo intervento del destino di tutto il concatenarsi di avvenimenti e disgrazie che accompagnano l'esistenza di Tess a partire da quell'istante, è soltanto sfiorato da Polansky. Se Tess è disgraziata è solo per delle vaghe ragioni di ingiustizia sociale, secondo il regista. E nemmeno molto chiare: perché, anche qui, tutto è smorzato. L'oscurantismo del clero, la repressione dell'educazione familiare, il maschilismo del marito, la divisione classista. Così la presenza della natura: che è riportata in modo certamente maestro, ma mai sensuale. Una presenza sullo sfondo, che non interviene però mai, imperiosamente, a disturbare, a turbare, a modificare.

Il bagno di purezza di Polansky, insomma, ci costa moltissimo. Vedremo, dalle sue opere future, se questo suo ritorno a dimensioni elementari gli permetterà di ripartire per nuove invenzioni. Per il momento diventa assai facile notare tutto quello che di insolito, di magico, di artistico insomma abbiamo perduto. Facilissimo: basterà notare il fascino ineguagliabile della sola sequenza nella quale, forse, Polansky si è dimenticato della sua ritrovata verginità. Ridandoci tutto il fascino del mistero barocco, dell'invenzione poetica alla quale ci aveva talvolta abituato. È la scena nella quale Tess esausta per il vagabondare nella nebbia delle campagne inglesi, si addormenta in un bosco. Al suo risveglio, fra le foglie ingiallite ed il sole che filtra fra i rami, un'apparizione improvvisa, che nel mistero possiede il fascino infinito: un cervo, immobile, maestoso. Che al risvegliarsi di Tess, si volta di soprassalto, e fugge, scomparendo nella foresta.


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